Gino Bertaso secondo Giuseppe Longhi

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Un viso aperto, carnoso, un corpo massiccio, una rispettabile pancetta, accurato nell’abbigliamento se non elegante, correttissimo nel comportamento, un gesto garbato, un sorriso che, talvolta, non si comprende se sia di compiacimento o di compatimento. Ecco il cav. Gino Bertaso. L’impressione, che si ricava a prima vista, è quella di essere in presenza di un educatore oppure di un amministratore oppure di un medico o, comunque, di un professionista. In ogni caso di un uomo tranquillo, posato, sereno. Se ti avverte lungo la strada, con il suo passo alquanto molleggiato, ti porge un cordiale saluto.

Un amico quindi! Ma un amico di chi egli riconosce sia tale nei suoi confronti. E’ nato a Verona nel 1913 e porta con sè il più devoto affetto per la sua città. Per l’Arena, la tomba di Giulietta, la Piazza delle Erbe, per l’Adige che vi striscia accanto.

Recita, se invitato, le dolci, delicate, suggestive poesie di Berto Barbarani e si illumina di contento di fronte ad una tela di Angelo Dall’Oca Bianca. E’ ferrarese di adozione ed è orgoglioso di esserlo. Da più di trentacinque anni vive ed opera nella nostra città come funzionario di un Ente statale. L’aspetto non inganna. Ma sotto la vernice dell’impiegato vibra un cuore entusiasta viene incontro per porgerti il suo più
di artista!

Il « pittore della verità » è stato qualificato da Amerigo Manzini, uno dei nostri più attenti critici in una biografia. La vocazione per le arti figurative Gino Bertaso l’aveva esppressa sin da quando, da ragazzo, frequentava l’Istituto d’Arte « Paolo Cagliari » in Verona. Questa vocazione può essere stata, per l’adattamento ad altre attività, trattenuta nel suo impulso, ma non è stata sviata. Poeta, musico, cantante si nasce e si rimane. Il marchio può scolorire se non viene ravvivato ma non si cancella. Ed è così che nel grigiore delle pratiche burocratiche e fra la polvere degli archivi Gino Bertaso ha trovato modo di custodire e di far brillare la sua versalità di pittore.

Un pittore sincero che, all’infuori di ogni acrobatismo superrealistico, si è sempre orientato a tradurre nelle sue tele ciò che poteva conoscere, toccare, gustare. Nature morte, paesaggi, fiori, frutta. Con semplicità, con freschezza di colori, con tecnica sicura. Senza artifici.

I suoi papaveri, che si stendono alti, alti, dominano sul verde dei prati. La sua frutta si offre al tatto. I suoi fiori spandono attorno il loro profumo come se fossero freschi. Le sue nature morte non intristiscono sui tavoli. Un particolare che forse sfugge è che le sue tele (sempre limitate nella misura) non hanno bisogno, per dare maggiore rilievo al soggetto, della cornice. Come i fiori in un vaso le sue immagini si ricompongono nel margine di uno spazio lasciato libero per il loro respiro.

Pittore e anche scultore. Suo è il monumento ai Caduti nella Piazza di Migliaro. Riconoscimenti ne ha goduti partecipando a mostre di pittura a Roma, a Livorno e a Toronto in Canadà. In questo anno ha vinto un premio a Gabicce.

Per accettarne la guida vi si affollano attorno i più giovani pittori. Con amore li consiglia, li corregge, senza mai umiliarli, per indurli alla serietà anche nei loro primi esperimenti. Un maestro indulgente ma anche cosciente della sua responsabilità.

Per Gino Bertaso la pittura è musica, è poesia, è canto. E soprattutto è fede. La sua fede che non ha mai tradita per la vanità dei facili successi.

GIUSEPPE LONGHI
“ARGENTOVIVO”

Dicembre 1975

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